LA VIOLENZA IN FAMIGLIA

VIOLENZA IN FAMIAGLIA

La violenza in famiglia è definita più in generale come maltrattamento.
Il maltrattamento può essere:
Maltrattamento diretto:
Maltrattamento fisico, il più facile da riconoscere, consiste nell’infliggere ripetutamente al bambino/ragazzo ferite attraverso percosse e assalti fisici causati dalla rabbia e ostilità, ad esempio morsi, spintoni, percosse che comportano conseguenze fisiche, anche gravi, come fratture, bruciature ed a volte anche la morte del bambino/ragazzo.
La violenza sessuale consiste nel coinvolgimento del bambino/ragazzo in atti sessuali, con o senza il contatto fisico, a cui non può liberamente consentire in ragione dell’età e della preminenza dell’abusante. Fanno parte di tale forma di violenza lo sfruttamento sessuale, la prostituzione infantile, la pedo-pornografia.
La violenza sessuale può essere:

  • intrafamiliare se attuata da membri della famiglia (genitori, patrigni, conviventi, fratelli) o da membri della famiglia allargata (nonni, zii, cugini, amici intimi della famiglia);
  • extrafamiliare se attuata da persone conosciute dal minore (vicini di casa, conoscenti);
  • istituzionale (quando gli autori del reato sono maestri, educatori, bidelli, allenatori, medici, assistenti di comunità);
  • di strada (da parte di estranei);
  • a fini di lucro (da singoli o gruppi criminali organizzati come ad esempio le organizzazioni per la produzione di materiale pornografico, o per lo sfruttamento della prostituzione ed agenzie per il turismo sessuale);
  • gruppi organizzati (esterni al nucleo familiare quali sette e gruppi di pedofili).

La patologia delle cure che può manifestarsi come:

  • ipercura (per cui si cura il bambino anche se non ne ha bisogno, sottoponendolo a continue visite mediche invasive o dandogli farmaci che lo intossicano);
  • incuria (la cosiddetta violenza per omissione: bambini sporchi, con carie estese, dermatiti da pannolino, non rispetto dei calendari vaccinali);
  • discura (le cure vengono fornite, ma in maniera distorta ed inadeguata allo sviluppo evolutivo del bambino.

Maltrattamento psicologico, più facile da individuare, consiste in una relazione emotiva inadeguata e dannosa che si configura con il rifiuto del bambino/ragazzo e il suo isolamento. Il piccolo viene sottoposto a ricatti affettivi, minacce, indifferenza, rimproveri immotivati, umiliazioni, denigrazioni e svalutazioni che danneggiano o inibiscono lo sviluppo di competenze cognitive ed emotive quali intelligenza, attenzione, percezione, memoria.

Maltrattamento indiretto:

  • l’alcolismo, la tossicodipendenza, le malattie psichiatriche dei genitori,
  • la violenza assistita, cioè il coinvolgimento del minore in atti di violenza compiuti su figure di riferimento affettivamente significative.

Nella violenza assistita il bambino fa esperienza di qualsiasi forma di maltrattamento esercitato, attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minori.
Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici.

Cosa succede nella violenza assistita
Il bambino/ragazzo può essere un testimone passivo, ma può essere strumentalizzato, usato dalla madre come scudo che la protegge dai colpi del marito.
Spesso il bambino, oltre che testimone, riceve i colpi destinati alla madre o viene aggredito dalla stessa perché nervosa per quanto successo con il marito.
Infine il bambino può essere un partner attivo, e allo stesso tempo una vittima il che significa che potrebbe diventare egli stesso violento nei confronti della madre, fino ad arrivare a voler aggredire anche il padre.
Nelle situazioni di violenza assistita abbiamo, quindi, un bambino che soffre, ma anche una situazione problematica in cui vive, che coinvolge diverse persone.
Intanto è da prendere in considerazione la relazione madre/bambino:
la donna, anch’essa vittima di violenze, può presentare delle alterazioni psicologiche e dei sintomi post traumatici. Questa condizione in cui versa, quindi, la porta ad avere difficoltà ad occuparsi in maniera serena ed equilibrata del proprio bambino.
Inoltre la donna, presa dalle proprie sofferenze, fa fatica a vedere ed occuparsi di quelle del bambino.
In questo caso il bambino rischia di oscillare tra tre posizioni:

  • quella di vittima, per cui subisce passivamente;
  • quella di carnefice, per cui è sia tiranno sia persecutore agli occhi della propria madre;
  • quella di curante, per cui mostra un’attenzione particolare verso la figura che lo cura.

Quest’ultima posizione è la più pericolosa perché mette il bambino in un’ inversione di ruolo che lo porta a dimenticarsi dei propri bisogni e delle proprie sofferenze.
Inoltre la sua posizione di ascolto e di cura del genitore, fa si che quest’ultimo si confidi e si appoggi sempre di più al bambino, fino a formare una “coppia emotiva” che tiene distante il genitore violento. Il padre, in questo modo, si sente ancora più insoddisfatto e geloso del proprio figlio.
Per quanto riguarda la relazione padre/bambino, emerge che spesso gli uomini violenti con le proprie mogli, sono preoccupati di non far del male ai propri figli. Questo perché nella maggior parte dei casi sono stati a loro volta vittime di violenza nella famiglia d’origine e non vogliono che i bambini si sentano come si sono sentiti loro da piccoli. Tuttavia, non si rendono conto che, anche il maltrattamento sulla moglie e madre del bambino, traumatizza il piccolo tanto quanto un maltrattamento di altro tipo.

I sintomi
Il bambino vittima di violenza assistita presenta diversi sintomi che testimoniano la sua sofferenza; non vi è quindi differenza, sul piano psicopatologico, tra il bambino maltrattato ed il bambino testimone di violenze domestiche.
L’intensità e la gravità dei sintomi dipendono dalle condizioni generali di vita del bambino.
Non esiste una proporzionalità tra l’importanza dei disturbi e la gravità degli avvenimenti.
I sintomi non si manifestano sempre in maniera evidente ed immediata dopo le violenze, possono arrivare in maniera insidiosa durante tutto lo sviluppo della persona.
Anche i bambini vittima di violenza assistita sviluppano sintomi post traumatici come:

  • ricordi intrusivi e ricorrenti delle violenze;
  • incubi, disturbi del sonno;
  • disturbi alimentari;
  • depressione;
  • amnesie;
  • difficoltà di memoria e di concentrazione;
  • ritiro sociale;
  • irritabilità, agitazione, disturbi del comportamento;
  • isolamento o rabbia incontrollata;
  • sintomi psicosomatici ricorrenti.

Il bambino, davanti alle violenze coniugali, può avere due reazioni:

  • si allarma, prova terrore ed esprime protesta;
  • si sente impotente, si dispera e tenta un’autoregolazione delle emozioni tanto da sembrare poco interessato a quanto sta succedendo.

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